Cinema Lumière o di una perduta stagione

Piazza del Gesù Roma

Cinema Lumière? Ma sì. C’era un tempo qui, a Roma, in Piazza del Gesù, un locale — fra i tanti — che vantava proprio il nome dei fratelli Louis e Auguste Lumière che nel lontano 1895 avevano ottenuto il brevetto per il suo apparecchio.
Un piccolo cinema nato ai tempi del muto e diventato, con l’arrivo del sonoro, di seconda visione, rionale:
« Una sala lunga lunga che sapeva di odori assai strani, con le sue vecchie poltrone di velluto rosso e le sgangherate sedie ridotte a mal partito da un pubblico ingenuo, voglioso di gustarsi la pellicola il più vicino possibile allo schermo, con le sue luci fiacche e le pareti costellate di policromi manifesti pubblicitari inneggianti al film di prossima programmazione. Un cinema dall’ingresso angusto, con maschere che alternavano la vendita delle sementi e delle caramelle di qualità scadente alla scorta dei signori spettatori; cinema profumato di bucce d’arancio, rifugio sicuro per qualche romantica coppia di fidanzati ventenni in vena di tenerezze; e, infine, prezzo irrisorio per accedere ai primi posti, poche lire, per due film e, spesso, varietà. Anno dopo anno, sempre fedeli — anche se ormai alle soglie dell’Università — all’intimo cinema della nostra perduta fanciullezza, ci piacque seguire ed approfondire la settima arte fino alle novità estreme, fino al colore di Becky Sharp ».
Qualche anno dopo il cinema Lumière diventò un magazzino-deposito di stoffe, nessuno, proprio nessuno, ricorda più che a Piazza del Gesù c’era una volta il cinema, pardon, il Grande Salone Lumière, nato come succursale del Cinematografo Moderno di Piazza Esedra (ribattezzato pochi anni fa The Space Cinema Moderno), direttore tecnico Filoteo Alberini… peccato.

Immaginazione visiva

melies_technicien_la_premiere_camera_et_le_premier_projecteur_de_melies_laurent_mannoni
Le Kinetograph Robert Houdin

L’immaginazione contemporanea è una immaginazione visiva. L’occhio è il veicolo che fornisce all’uomo moderno la maggior parte delle sue emozioni. Il potere di penetrazione è andato oltre la stessa visibilità prolungando il suo raggio di dominio e di speculazione: non vede soltanto ma intravede. Va al dilagare dell’infinito e del reale. Non ha più limiti. Esplora spazi, attraversa la materia, avvicina a sé il grande ingranaggio universale. La terra è sua. E anche il cielo. L’occhio è entrato nel sistema solare. L’occhio ha superato la sua stessa carica.

I primi popoli della terra dipingevano su ogni arnese un occhio. I graffiti di Altamira sono pieni d’occhi. I greci lo disegnavano di profilo, un occhio parto, un occhio isolato. Era l’occhio di Dio che si perpetuava di creta in creta. L’occhio senza sonno. Un oggetto senza occhio era un oggetto cieco.

Dove l’occhio non poteva arrivare l’uomo ha creato purissimi cristalli. Attraverso questi cristalli è arrivato al firmamento. Ha scoperto vali nelle macchie della luna. Di cristallo in cristallo è sceso nella profondità del mare e ha riportato immagini di foreste fosforescenti e forme nuove di pesci. E così ha fatto coi vulcani. L’invisibile è diventato visibile. Prima si vedeva la foglia. Ora entriamo nella foglia. Vediamo i suoi nervi e le sue vene. Le vibrazioni di un suono, la velocità di un proiettile, la struttura di un microbo possiamo registrarli e documentarli attraverso la fotografia e il cinema.

Fra Dio e l’uomo c’è la camera oscura. Una camera magica dove tutto ciò che esiste, forme, immagini, vapori, apparizioni, può essere trasmesso e perpetuato. Dietro ogni cosa che si vede c’è sempre un’altra cosa. Dove l’occhio non arriva l’obiettivo non solo arriva ma va oltre.

L’obiettivo al servizio dell’immaginazione può produrre meraviglie. La scienza, il documento, quello che c’è sotto e sopra l’uomo va bene. Ma l’immaginazione? Un artista può esprimere attraverso la camera oscura i più aerei e delicati e intricati fantasmi. Può comporre coi pesi e coi volumi. Può pensare. Può immaginare. La cinematografia non è entrata nel Parnaso come decima musa?

pensieri di Raffaele Carrieri

La tecnica del successo di un film

Georges Charensol, critico cinematografico parigino, illustrava con questo articolo pubblicato nel 1954 alcuni aspetti della psicologia del pubblico… di allora. 

La tecnica del successo è sempre estremamente complessa. Per il cinema, il fenomeno si complica di gran lunga: noi non siamo più dinanzi ad uno spettacolo per una determinata categoria di persone — più o meno accorta e male scelta per il suo denaro — ma davanti ad una forma diffusissima di vita collettiva.

Un specialista in psicologia delle folle sarà più preparato di noi per stabilire il comportamento dello spettatore nelle sale oscure e i riflessi che preparano il successo o l’insuccesso di un film.

Ci sono al mondo 100.000 sale cinematografiche  ove si spendono 400 miliardi di franchi all’anno per entrarvi dieci o dodici milioni di volte…

Una tale massa, per la costante presso a poco assoluta del suo comportamento, dovrebbe fornirci degli elementi che ci permettessero di stabilire le ragioni del successo di un film. Ciò non è vero.

Sul piano artistico la qualità dei films programmati — o ciò che ne detiene il posto — o non risulta o non può risultare che molto empiricamente. Le ragioni del successo sfuggono a prima vista e noi non possiamo affermare — scientificamente, con argomenti definitivi se non definiti — perché lo zibaldone a colori intitolato Ambra abbia avuto più successo che Dies Irae. Al di sopra di tutte le statistiche, ci resta la conoscenza del dettaglio, l’analisi ″in vitro″ delle abitudini di una città delicata in fatto di cinema: Parigi.

Dopo vent’anni il successo o l’insuccesso di un film è fatto e disfatto da una massa di spettatori, sempre gli stessi, che i direttori delle sale cinematografiche calcolano tra le 9 e le 12.000 persone. Se la critica contribuisce alla scelta di questo pubblico nella misura del 25% — cosa assai lusinghiera — questo è il tam tam — tam tam verbale, telefonico, critico, fatto di chiacchiere ed allusioni ecc. questo è il tamburo di quei 9 o 12.000 spettatori che decreta che Breve incontro è il meglio e più selezionato capolavoro inglese, o che California è il più indigesto dei western a colori americani.

Lo snobismo contribuisce a far sì che quei novemila spettatori — prendendo la base — allarghino il successo: al terzo giorno, ci saranno 50.000 spettatori che saranno disonorati se non potranno dire: “Ho visto Amleto e, per me, ben inteso, è un capolavoro” “Ho visto Macbeth, quel Welles, che prodigio, mio caro!” “Sono stato alla prima di Ladri di biciclette (questa è una piccola menzogna, ma lo snobismo lo vuole). Ecco il capolavoro dei capolavori…”

E così di seguito, con una lunga serie di discorsi, di echi, di lusinghe, di vanità, di pensieri intelligenti — tutto arriva.

Il film è lanciato. La provincia lo reclama con insistenza. Se il film è francese, i distributori stranieri si risvegliano. Se il film è straniero, ed è Parigi che lo rivela c’è la corsa verso il produttore… e questo significa, talvolta, un secondo film — una cattiva montatura — che appare all’orizzonte.

I danni e i vantaggi di una tale tecnica sono evidenti. Il danno non può essere evitato che in parte, elevando la cultura cinematografica di questi 9 mila primi spettatori che, per abitudine, per ambiente, per fiuto, per cultura o mimetismo, hanno gusto. Non si dirà che questo è il solo tam tam, ben inteso, ma è il più efficace, il più diretto, il più durevole.

C’è il tamtam della pubblicità: ma si usa spesso, troppo spesso. Il pubblico non si lascia ingannare.

Che cos’è un’idea

Federico Fellini
L’occhio del regista: Fellini alla macchina da presa

Molti credono di saperlo, ma chi non ha molte idee non saprà mai che cosa è l’idea. Qui non si tratta di una definizione filosofica, ma di persuadersi di un principio semplicissimo: l’inizio di ogni cosa umana è sempre l’essere umano, nulla è umano più del cinema, quindi la premessa del cinema è l’essere umano, non gli apparecchi di cui il cineasta si serve per realizzare il suo cinema.

Amare il cinema come strumento di umanità è il punto di partenza; e sentire la curiosità in un primo momento, la necessità in seguito, di dire qualche cosa con il cinema, è il miglior auspicio per una carriera cinematografica. Alla base di questa necessità di esprimersi c’è un’idea, e in questo caso un’idea cinematografica.

Ma l’idea può essere espressa male, cioè senza gusto e sentimento; bene, cioè con proprietà di mezzi; artisticamente cioè in modo che possa essere apprezzata in qualunque parte del mondo. Solo le idee espresse artisticamente escono dalla soglia della propria casa e camminano per il mondo.

I migliori cineasti a questo tendono: rinnovare il cinema con le loro… idee. Non è esclusa l’efficacia e l’interesse delle cose non espresse artisticamente, ma quando sono artisticamente espresse esse salgono in un regno ch’è immortale.

Chi non ha idee copia o ripete le idee degli altri. Fa qualche cosa, ma non fa il meglio. Il meglio lo fa chi inventa con le idee un mondo che dentro lo commuove.

kinetografo

Cinema Teatro Manzoni di Bologna

Cinema Teatro Manzoni Bologna 1933

Il Manzoni è stato costruito nel 1933 su di un’area risultante dalla demolizione di un gruppo di vecchi palazzi nel cuore di Bologna:

Si deve ai fratelli Ing. Ildebrando e Astorre Tabarroni il merito di aver saputo affrontare e risolvere tutti i problemi, dalla demolizione al progetto edilizio, alla costruzione, alla finitura, agli impianti complessi, all’arredamento e alla scelta dei mezzi di esercizio.
È il Manzoni un locale modernissimo costruito — usando di tutti i ritrovati conosciuti e seguendo tutti gli accorgimenti che la tecnica mondiale d’oggi impiega e indica per la costruzione dei Cinema-Teatri e armonizzando le necessità tecniche coi dettami dei regolamenti vigenti — per rispondere alle raffinate esigenze del pubblico bolognese. Si affaccia il Manzoni nel centro di Bologna sulle Vie Monari, De’ Corighi e Volturno, e l’imponenza della costruzione trova ampio respiro nella snellezza della sua vigorosa architettura e nella sobrietà signorile dei motivi decorativi.
Una buena macchia di colore danno alla costruzione le ampie vetrate di cristallo che collegano i due piani e si ricongiungono all’aerea pensilina, tutta di cristallo, che sovrasta gli ampi portoni d’accesso di Via Monari e di Via De’ Corighi.
La biglietteria troneggia nel centro dell’elegante ingresso ed a sinistra di chi entra occhieggia invitante l’artistico buffet. Attigua all’ingresso è una grandiosa antisala gaia e vivace, che guida il pubblico ai due imponenti corridoi laterali verso le entrate della sala del Teatro.
Veramente meraviglioso il colpo d’occhio che dà questo salone a chi vi si affaccia: dapprima un’impressione di stupore, poi la sensazione di trovarsi realmente di fronte ad una moderna concezione artistica, a una ardita e meritata costruzione.
La sala, capace di 3000 posti, è vastissima, luminosa, arieggiata, ha un’amplia platea, una vastissima galleria centrale, tre file di svelte gallerie laterali e graziose ed eleganti barcacce. In ogni punto della sala la visuale è perfetta e l’acustica è particolarmente studiata, così da non avere in nessun punto della sala delle zone sorde.
Il soffitto è completamente mobile, cosìnche nella stagione estiva, a soffitto dischiuso, si può avere la sensazione di essere in un teatro all’aperto: la manovra di apertura e chiusura è rapidissima, mediante un congegno  elettrico speciale, unico in Italia.
Le numerosissime porte di uscita e le ampie e comode scale permettono un celerissimo sfollamento del salone. Decorazione intonata: semplici i motivi decorativi e armonici gli effetti di luce diretta e indiretta, diffusa da artistici e immensi lampadari.
L’ampio golfo mistico armoniosamente disposto è capace di contenere una grande orchestra e il palcoscenico, imponente per la sua ampiezza e per la sua struttura è stato studiato in tutti  i dettagli tecnici e particolarmente per una resa fonica quanto mai perfetta e per essere impiegato dagli spettacoli lirici a quelli di prosa e dal varietà al cinema.
Il palcoscenico, dotato dai più moderni impianti, specie nella manovra scenica, è munito da un sipario di sicurezza invulnerabile cioè del tipo di quello montato al Teatro Comunale di Bologna, che durante il disastroso incendio, da tutti ricordato, funzionò così egregiamente da salvare dalla fiamme la superba sala della Bibbiena.
La riproduzione sonora nella sala è eseguita a mezzo di altoparlanti giganti e lo schermo, dello speciale tipo sonoro, misura 8 per m. 6
La costruzione dell’edificio è tutta di ferro e mattoni e cosi pure in ferro sono la copertura, le porte e le finestre, dando in tal guisa la migliore garanzia contro gli incendi.
Un perfetto impianto di aerazione ottiene il cambio completo dell’aria della sala in 10-12 minuti primi, cioè che permette al pubblico di poter fumare durante gli spettacoli senza che il fumo arrechi disturbo alla visione o pregiudizio all’igiene delle persone.
Un vasto moderno impianto di riscaldamento darà un accetto tepore nella rigida stagione, mentre l’afosa e opprimente temperatura estiva sarà combattuta oltreché dall’apertura del tetto e dall’impianto di areazione, da un sistema completo di raffreddamento, nuovissimo anzi unico in Italia, a mezzo di speciali congegni tecnici.

Cinema Teatro Manzoni Bologna 1933