Georges Charensol, critico cinematografico parigino, illustrava con questo articolo pubblicato nel 1954 alcuni aspetti della psicologia del pubblico… di allora.
La tecnica del successo è sempre estremamente complessa. Per il cinema, il fenomeno si complica di gran lunga: noi non siamo più dinanzi ad uno spettacolo per una determinata categoria di persone — più o meno accorta e male scelta per il suo denaro — ma davanti ad una forma diffusissima di vita collettiva.
Un specialista in psicologia delle folle sarà più preparato di noi per stabilire il comportamento dello spettatore nelle sale oscure e i riflessi che preparano il successo o l’insuccesso di un film.
Ci sono al mondo 100.000 sale cinematografiche ove si spendono 400 miliardi di franchi all’anno per entrarvi dieci o dodici milioni di volte…
Una tale massa, per la costante presso a poco assoluta del suo comportamento, dovrebbe fornirci degli elementi che ci permettessero di stabilire le ragioni del successo di un film. Ciò non è vero.
Sul piano artistico la qualità dei films programmati — o ciò che ne detiene il posto — o non risulta o non può risultare che molto empiricamente. Le ragioni del successo sfuggono a prima vista e noi non possiamo affermare — scientificamente, con argomenti definitivi se non definiti — perché lo zibaldone a colori intitolato Ambra abbia avuto più successo che Dies Irae. Al di sopra di tutte le statistiche, ci resta la conoscenza del dettaglio, l’analisi ″in vitro″ delle abitudini di una città delicata in fatto di cinema: Parigi.
Dopo vent’anni il successo o l’insuccesso di un film è fatto e disfatto da una massa di spettatori, sempre gli stessi, che i direttori delle sale cinematografiche calcolano tra le 9 e le 12.000 persone. Se la critica contribuisce alla scelta di questo pubblico nella misura del 25% — cosa assai lusinghiera — questo è il tam tam — tam tam verbale, telefonico, critico, fatto di chiacchiere ed allusioni ecc. questo è il tamburo di quei 9 o 12.000 spettatori che decreta che Breve incontro è il meglio e più selezionato capolavoro inglese, o che California è il più indigesto dei western a colori americani.
Lo snobismo contribuisce a far sì che quei novemila spettatori — prendendo la base — allarghino il successo: al terzo giorno, ci saranno 50.000 spettatori che saranno disonorati se non potranno dire: “Ho visto Amleto e, per me, ben inteso, è un capolavoro” “Ho visto Macbeth, quel Welles, che prodigio, mio caro!” “Sono stato alla prima di Ladri di biciclette (questa è una piccola menzogna, ma lo snobismo lo vuole). Ecco il capolavoro dei capolavori…”
E così di seguito, con una lunga serie di discorsi, di echi, di lusinghe, di vanità, di pensieri intelligenti — tutto arriva.
Il film è lanciato. La provincia lo reclama con insistenza. Se il film è francese, i distributori stranieri si risvegliano. Se il film è straniero, ed è Parigi che lo rivela c’è la corsa verso il produttore… e questo significa, talvolta, un secondo film — una cattiva montatura — che appare all’orizzonte.
I danni e i vantaggi di una tale tecnica sono evidenti. Il danno non può essere evitato che in parte, elevando la cultura cinematografica di questi 9 mila primi spettatori che, per abitudine, per ambiente, per fiuto, per cultura o mimetismo, hanno gusto. Non si dirà che questo è il solo tam tam, ben inteso, ma è il più efficace, il più diretto, il più durevole.
C’è il tamtam della pubblicità: ma si usa spesso, troppo spesso. Il pubblico non si lascia ingannare.