Gli entusiasmi e i dubbi che mi hanno condotto alla realizzazione di Toni non si sono ancora spenti in me, e sono convinto che vivono ancora anche nel produttore del film, Pierre Gaut, che mi fu compagno in questa avventura. C’era in gioco il grosso problema del “naturale”, così come c’è ancora oggi, nel nostro mestiere. Può il cinema permettersi la trasposizione o, al contrario, deve farsi schiavo della natura? Dobbiamo allinearci sotto la bandiera di Caligari o continuare l’esperienza di Roma città aperta?
Potete immaginarvi facilmente le ragioni che ci hanno spinto all’esperienza di Toni. La più determinante di tutte è che il cinema, pensavamo, resta prima di tutto fotografia e che l’arte della fotografia è la meno soggettiva di tutte le arti. Il bravo fotografo (vedi Cartier-Bresson) vede il mondo com’è, lo seleziona, vi distingue quel che val la pena di essere visto e lo fissa come di sorpresa, senza trasposizione. E come immaginare la possibilità di una trasposizione quando l’elemento principale del nostro mestiere, il volto umano, è così difficilmente trasponibile?
Al tempo di Toni ero contro la truccatura. Avevo l’ambizione di riuscire a portare gli elementi non naturali del film, gli elementi che non dipendevano dagli incontri del caso, a uno stile il più vicino possibile a quello degli incontri quotidiani. La stessa cosa vale per le scenografie; in Toni non ci sono ricostruzioni fatte in studio: i paesaggi, le case sono così come le abbiamo trovate. Gli esseri umani sia se sono interpretati da attori, sia dagli abitanti di Martigues, cercano di somigliare ai passanti che hanno il compito di rappresentare; d’altra parte anche gli stessi attori professionisti, a parte qualche eccezione, appartengono alle classi sociali, alle nazioni, alle razze dei loro personaggi.
Il soggetto era un fatto di cronaca raccolto da Jacques Mortier, commissario di polizia di Martigues. Tutto era stato previsto affinché il nostro lavoro fosse il più vicino possibile al documentario. La nostra ambizione era che il pubblico potesse immaginare che una macchina da presa invisibile avesse filmato le fasi di un conflitto senza che gli esseri umani trascinati incoscientemente in questa azione se ne fossero accorti. Non ero probabilmente il primo a tentare una avventura del genere, né l’ultimo. In seguito il neorealismo italiano doveva portare il sistema alla perfezione.
(…)
Toni è un film molto primitivo. Accumula i difetti inerenti ad ogni impresa ambiziosa. Sarei felice se voi poteste indovinarvi un poco del mio grande amore per questa comunità mediterranea di cui le Martigues sono un concentrato. Questi operai di origine e lingua diversa, venuti in Francia per trovare una vita un po’ migliore, sono gli eredi più autentici di questa civiltà greco-romana che ci ha fatti quelli che siamo.
Jean Renoir 1956
(in occasione della ripresa del film nelle sale)